Ho scoperto quest’autrice ligure da poco, ma mi sono subito appassionata ai suoi gialli. Il carattere dei suoi personaggi è ben delineato e non mancano alcuni spunti di riflessione molto interessanti sulla nostra società.
In questo romanzo non compare l’ispettore Rebaudengo che è il consueto protagonista dei gialli di Cristina Rava; questa volta a svolgere l’indagine è Ardelia Spinola, l’anatomopatologa di cui si avvalgono i Carabinieri, un po’ stravagante, con la passione per i suoi gatti e il suo pick-up; sebbene sia già vicina ai 50 anni, si comporta con l’incoscienza di un’adolescente.
Effettivamente la trama non è molto articolata ma non c’è nulla di estremamente macabro e credo sia il romanzo perfetto per quando si ha voglia di staccare completamente la spina.
Due uomini di origine algerina, un medico e un ragazzo, vengono trovati uccisi nella casa del ragazzo. Non sembrano esserci legami con il terrorismo, ma non si può scartare nessuna pista.
Ardelia è chiamata a fare i primi rilievi sui cadaveri per poi farne l’autopsia.
Per un semplice caso, la dottoressa trova vicino al luogo dell’omicidio una chiavetta USB contenente un libro, molto probabilmente scritto dal giovane algerino ucciso.
Ad aiutare Ardelia nella sua indagine personale c’è l’ottuagenario zio Gabriel, ebreo, sopravvissuto ai campi di concentramento, ex- psichiatra, ex-agente del Mossad e attualmente agli arresti domiciliari.
Lo zio Gabriel aiuta Ardelia anche nella traduzione del libro contenuto nella chiavetta USB, che si rivela la biografia del ragazzo. In quelle pagine il giovane racconta le speranze, le difficoltà e la grande tristezza della vita da immigrato.
I brani che raccontano le emozioni del giovane algerino sono veramente toccanti, un racconto nel racconto, sicuramente commuovente.
«Finché le persone non impareranno a usare la ragione, avranno paura: dello straniero, del diverso, del nuovo, anche della scienza, sai? Dove c’è paura, si giudica senza conoscere e ci sarà sempre violenza.». A questo punto si mette a trafficare con il polsino della camicia e non capisco bene cosa voglia fare, ma quando lo capisco mi si ferma il cuore. Si sta tirando su la manica per scoprire il tatuaggio. «C’è poca luce, ma lo vedi questo?» «Questi piccoli numeri? Sì li vedo.» «Questo è il tatuaggio che mi hanno fatto i tedeschi quando sono entrato nel campo di sterminio di Auschwitz. Sono ebreo.
Buona lettura a tutti i genitori e non!
Con questo post partecipo al venerdì del libro di homemademamma.
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