Adolescenti chiusi in casa è l’argomento su cui ci confrontiamo con Maria Grazia Rubanu, Psicologa e Psicoterapeuta dello studio Psynerghia.

Adolescenti chiusi in casa | Genitorialmente

Questo mese parliamo di che cosa succede ai nostri ragazzi e ragazze adolescenti durante la seconda ondata di questo periodo di pandemia, qui le domande e i dubbi di noi genitori.

Adolescenti chiusi in casa: cosa succede ai ragazzi e alle ragazze?

I genitori mi raccontano le giornate tipo dei loro figli e delle loro figlie, giornate che trascorrono tutte uguali, scandite dalle lezioni fatte con la didattica a distanza e dalle numerose ore trascorse sui social network, mi dicono che anche quando il colore della regione lo permette non hanno voglia di uscire, di sentire qualcuno per capire se si possa fare qualcosa assieme.

I ragazzi e le ragazze raccontano allo stesso modo il trascorrere del proprio tempo: scuola alla mattina, al pomeriggio qualche compito, il tutto sempre accompagnato dallo smartphone sempre connesso.

WhatsApp, Instagram e Tik Tok sono stati davvero preziosi in questo periodo che dura ormai da quasi un anno. Hanno permesso di superare la noia, hanno fatto compagnia, hanno dato l’opportunità di accorciare le distanze quando non era possibile nessun altro tipo di presenza.

Ma adesso?

Lungi da me dare ai social la responsabilità di questa chiusura e di questa difficoltà ad aprirsi al mondo esterno anche quando è consentito.

Le variabili che entrano in gioco e possono ostacolare la necessità, fondamentale in adolescenza, di esplorare il sociale e il relazionale, sono tante: c’è stato uno stravolgimento totale delle loro abitudini quotidiane, nelle loro vite d’un tratto è venuto a mancare il senso di sicurezza, ha preso il suo posto il senso di incertezza e precarietà.

Si sono sentiti investiti di un grande senso di responsabilità che quasi tutti hanno osservato con grande dignità, ma che per molti adesso è diventato un fardello troppo pesante da portare.

La didattica a distanza è certamente stata una risorsa nel momento in cui non erano possibili altre alternative, ma mostra da tempo tutti i suoi limiti: permette di trasmettere contenuti ma rende molto complicato mantenere e costruire relazioni.

Se è vero che per alcuni ragazzi e ragazze è un mezzo che permette di restare nella confort zone, per altri è invece qualcosa che fa sperimentare vissuti di solitudine e inadeguatezza, qualcosa che può portare a comportamenti opposti: dal disimpegno all’investimento totale nello studio.

Inoltre non si può prescindere dalle limitazioni alle attività sportive o dall’impossibilità di incontrare amici e amiche in luoghi chiusi.

È vero che le restrizioni di questa seconda ondata sono state meno drastiche del periodo marzo/aprile 2020, ma sono comunque pesanti perché arrivano ad aggiungere il proprio carico su chi ha già sperimentato le precedenti e danno luogo a reazioni differenti: c’è chi risponde con insofferenza e sviluppa un forte senso di frustrazione, e chi invece sperimenta il sollievo tipico della sindrome della capanna, ovvero la sensazione di poter stare al sicuro, senza dover affrontare lo stress quotidiano legato alle difficoltà a stare in classe e gestire le relazioni con compagni e insegnanti.

In qualche modo la pandemia ha normalizzato alcune difficoltà già presenti: non sono io che non riesco ad affrontare le mie difficoltà in classe, non si può uscire e quindi va bene così.

La mancanza del desiderio di uscire, legata alla difficoltà a gestire le relazioni amicali e sociali, permette di trovare nella condizione socio sanitaria che stiamo vivendo uno stato di sospensione del disagio vissuto, una moratoria temporanea che rassicura senza minare l’autostima.

Si è creato quello che Massimo Ammaniti definisce un “effetto gregge psicologico”: siccome tutte le ragazze e i ragazzi stanno vivendo questa situazione e nessuno esce di casa, viene a mancare la motivazione a farlo, a vivere l’esterno, anche perché, è la spiegazione che si danno, non ci sarebbe la possibilità di incontrare nessuno.

Nessuno ha la voglia o trova il coraggio di essere il primo o la prima a proporre un’uscita, almeno quando è possibile, a seconda della zona a cui si appartiene, anche perché ci sente parte di un gruppo che ha la stessa esigenza di stare in sicurezza dal punto di vista fisico ed emotivo.

Qual è il ruolo e quali sono i vissuti delle famiglie?

Parte del modo in cui ragazze e ragazzi vivono la loro vita dipende anche dalla maniera in cui i genitori affrontano le difficoltà.

Ci sono contesti familiari rigidi che riescono a muoversi bene soltanto quando i membri hanno la percezione di avere il controllo sulle cose e contesti in cui i genitori sono più flessibili, capaci di accogliere i cambiamenti senza farsene né schiacciare, né travolgere, mantenendo sempre il timone saldo per governare le onde quando arrivano.

Sono i genitori capaci di sostenersi e sostenere i figli e le figlie, di rappresentare una base sicura dalla quale ci si può allontanare perché si ha sempre la certezza di poter tornare.

In questa situazione non si può non tenere conto degli effetti che la pandemia ha avuto in primo luogo sugli adulti di riferimento, che arrivano da una loro storia, da una loro famiglia di origine e che, nel momento in cui diventano genitori, devono imparare a costruire la capacità di osservare le proprie emozioni per poi potersi sintonizzare con quelle delle figlie e dei figli, in modo da poter essere un sostegno nelle difficoltà.

Adolescenti chiusi in casa, allora cosa possono fare i genitori?

Sicuramente possono provare a comprendere cosa stanno vivendo i propri figli e le proprie figlie, cercando di accogliere tutte le emozioni e i vissuti, anche quelli che possono apparire più spiacevoli, come la tristezza, l’ansia e la paura.

Possono aiutare le ragazze e i ragazzi a dare un nome a ciò che sentono, a legittimarlo e ad esprimerlo, se non con loro, con altre figure adulte di riferimento, che siano essere persone conosciute o figure professionali, a seconda della situazione specifica.

Spronare i figli e le figlie ad uscire non funziona e potrebbe anche essere controproducente perché rischia di apparire colpevolizzante.

In questa situazione è importante saper mantenere “la giusta distanza”, ovvero quella che permette di far sentire ai figli il proprio appoggio senza invadere il loro spazio.

È importante rispettarne i confini senza avere la “presunzione” di sapere qual è la cosa giusta per loro, anche se si ha più esperienza bisogna sempre ricordarsi che non si cammina nelle loro scarpe.

Maria Grazia Rubanu

Psicologa Psicoterapeuta

Psynerghia – Psicologia e relazioni

Foto di Julia M Cameron da Pexels

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