Come imparare a pensare a se stessi, è la domanda che, questo mese, abbiamo fatto allo studio Psynerghia. Sembra una domanda strana, ma chissà quanti genitori a un certo punto iniziano a chiederselo, in questo articolo troviamo le loro domande.

Continua la collaborazione con il blog Genitorialmente  e questo mese parliamo della possibilità di imparare a pensare a se stessi anche quando si è genitori. In questo link trovate le domande dei genitori.

Potrebbe sembrare un discorso semplice perché ognuno di noi, indipendentemente dall’età, propria o di eventuali figli e figlie, ha il diritto di ricavarsi uno spazio e un tempo per sé. Eppure, soprattutto per i genitori, non è così immediato farlo senza andare incontro a dolorosi sensi di colpa.

Ma perché ci si sente in colpa se ci si prende cura di sé?

Perché spesso si confonde l’amare se stessi e il dedicarsi delle attenzioni con l’egoismo e questo vale il doppio se si hanno figli, come se non fosse possibile riuscire ad essere presenti con loro e, allo stesso tempo, rimanere al centro della propria vita.

Nelle parole di Manu, che si fa portavoce dei vissuti di tanti padri e tante madri, leggiamo anche una particolare attenzione al non ripetere gli errori compiuti dai suoi genitori, che non hanno saputo trovare un equilibrio tra il loro essere figli feriti e il mettere al mondo, a loro volta, dei figli dei quali non erano pronti ad occuparsi in modo adeguato.

Manu ha sviluppato una grande consapevolezza rispetto a ciò che le è successo con i suoi genitori, e ha cercato di fare del suo meglio per essere una madre differente dalla sua, per essere una madre capace di ascoltare, di accogliere, di perdonare, di sostenere nei momenti di difficoltà e di incoraggiare le proprie figlie verso lo sviluppo di un’autonomia che non trascuri l’affettività.

Ma per farlo ha fatto una cosa piuttosto frequente: ha messo da parte se stessa, i propri bisogni, il proprio tempo di donna che non è lo stesso di mamma. E adesso che le figlie sono adolescenti ha il desiderio di riappropriarsi di un tempo e un modo per pensare, finalmente, anche a se stessa.

Ma non avendolo mai fatto non sa bene come comportarsi.

La prima cosa che mi viene da dire a Manu e tutte le altre madri e a tutti i padri che vivono questa condizione di conflitto è che essere genitori non deve essere qualcosa di totalizzante, ma è uno dei ruoli che nella vita si può scegliere di svolgere, e che non deve escludere il resto. Avere del tempo per sé, non solo non toglie nulla al fatto di essere buoni genitori, ma anzi, consente di avere un valore aggiunto, ossia quello di insegnare ai figli che nella propria vita si può essere soddisfatti di se stessi e che essere genitori non è un sacrificio, ma una scelta consapevole che permette diversi livelli di libertà personale e possibilità di espressione.

Ma come si fa a imparare a pensare a se stessi?

Intanto bisogna iniziare a scindere questo aspetto dall’idea di egoismo ad esso associata e poi ci sono diverse cose che si possono fare e che aiutano a vedere il proprio mondo e il mondo esterno con sguardo differente.

  • Ascoltare se stessi: riuscire a sintonizzarsi con ciò che si prova, con le proprie emozioni e sensazioni e anche con le proprie passioni.
  • Dedicarsi del tempo: fermarsi un attimo interrompendo la routine della quotidianità, fatta di corse contro il tempo e sentire che il mondo continua a girare anche senza la nostra spinta continua. Magari si può anche scoprire che se ci si ferma saranno gli altri ad attivarsi, prendendosi la responsabilità della propria parte di carico emotivo e pratico.
  • Perdonarsi quando si compie un errore: perché nessuno è perfetto ed è proprio la nostra fallibilità che ci rende speciali perché capaci di rialzarci più velocemente se sappiamo che è possibile cadere. Lo stesso esempio può essere dato ai figli, che cresceranno più sereni se sentono che si può diventare adulti in gamba, affrontando e superando i propri sbagli. Avere a che fare con genitori (apparentemente) perfetti rende più tortuoso il processo di sviluppo dell’identità.
  • Accogliersi: è in correlazione diretta con il punto precedente, significa essere consapevoli di ciò che va bene, cercare di modificare ciò che è possibile, e non combattere inutilmente con ciò che non può essere cambiato.

Se si riuscirà a guardarsi dentro e attorno in questo modo, gli aspetti pratici saranno una naturale conseguenza, perché ci si sentirà liberi di esprimersi senza avere sensi di colpa.

Manu chiedeva anche una possibile lettura per accompagnare questo percorso e io ho pensato immediatamente a “Donne che corrono coi lupi” di Clarissa Pinkola Estes, una psicanalista che aiuta le donne a riscoprire la loro parte istintuale e creatrice, capace di andare oltre gli stereotipi sul femminile. Lo fa utilizzando le fiabe e i miti presenti trasversalmente in diverse tradizioni culturali.

Buona lettura e buon percorso di presa di cura di sé!

Maria Grazia Rubanu

Psynerghia-Psicologia e Relazioni

Foto di Shabnam Bakhshaliyeva su Unsplash

(Visited 1.048 times, 1 visits today)