I problemi scolastici in adolescenza toccano tantissime famiglie. Come fare ad aiutare i nostri figli? Due psicologhe ci aiutano a capire cosa succede in adolescenza. Per i ragazzi è fondamentale sentirsi presi in considerazione dai propri genitori nella propria totalità e non “solo in quanto studenti”.

 Genitorialmente | Adolescenti e problemi scolastici

Questo mese per la rubrica Figli al Centro, la collaborazione con le due psicologhe dello Studio Psynerghia continua con un tema interessante e molto attuale: cosa possono fare i genitori di fronte ai problemi scolastici dei figli?

Proviamo a rispondere alle domande che ci sono state fatte nel post Come risolvere i problemi scolastici in adolescenza partendo da una riflessione sull’adolescenza come età di passaggio e di cambiamento, non solo per i ragazzi che la vivono in prima persona, ma anche per le famiglie coinvolte che si ritrovano a dover costruire nuove strategie e modelli d’azione per affrontare una sfida complicata.

Soprattutto la prima adolescenza, che va dai 12 ai 14 anni, è un periodo di grandi cambiamenti fisici e psicologici e, se spesso i genitori hanno la sensazione di ritrovarsi in casa degli estranei, per loro può essere utile tenere a mente che in questa fase della vita accade di frequente che gli adolescenti stessi facciano fatica a riconoscersi.

Cambia la percezione del proprio aspetto, che  molto di rado è soddisfacente e cambia l’umore. Gli adolescenti  possono sentirsi felicissimi per un  momento e subito dopo andare incontro alla più nera disperazione. L’umore e l’immagine di sé sono fluttuanti e mutevoli. Allo stesso tempo c’è l’alternanza di momenti di grande maturità e momenti di infantilismo.

I ragazzi che si ritrovano a vivere in questo equilibrio precario hanno bisogno di trovare delle certezze nei genitori, che invece molto spesso si spaventano nel vedere gli sbalzi d’umore, l’insoddisfazione, la continua ricerca, le risposte brusche, i silenzi, le porte sbattute e magari anche un cambiamento che avviene nella sfera scolastica.

Per il genitore non esiste un unico modo “giusto” di affrontare queste difficoltà: a volte la risposta è il dialogo, a volte il rispetto del desiderio di silenzio, altre volte, invece, è opportuno saper reggere una discussione animata e avere la capacità di mettere un freno a una situazione che può essere pericolosa. Ma ciò che è più utile per un adolescente è sentire che i suoi genitori ci sono, sono presenti e non scapperanno di fronte alle sue intemperanze, né si irrigidiranno in modo eccessivo.

Il punto focale è essere fermi rispetto ai valori e alle regole che si ritengono fondamentali ma anche flessibili per affrontare e a insegnare ad affrontare il cambiamento.

È molto importante la capacità di riconoscere e accogliere i cambiamenti che stanno avvenendo nei figli e riadattare l’immagine che si ha di loro, in modo da svolgere una funzione molto importante in questa fase della vita: la funzione di rispecchiamentoche permette ai figli di potersi riconoscere nello sguardo e nelle interazioni con i propri genitori. In parte infatti sviluppiamo il senso di noi stessi proprio vedendoci rispecchiati negli occhi degli altri, vedendo come gli altri reagiscono a noi, connettendoci con le emozioni che sentiamo di suscitare in loro.

I genitori devono quindi accogliere il figlio cresciuto, mantenendo sempre dentro di sé l’immagine del bambino che ben conoscono in modo da non farsi spaventare o scoraggiare dalle nuove modalità.

Per l’adolescente è fondamentale sapere che i genitori hanno fiducia in lui anche quando le cose non vanno alla perfezione, come lui o loro vorrebbero. Il fatto di vedere riflessa negli occhi dei genitori un’immagine positiva di sé è un bene prezioso, talmente prezioso da rappresentare una base sicura, un buon nutrimento per l’autostima e la fiducia in sé e anche un rinforzo della capacità di fare scelte giuste in futuro.

Questo non significa chiudere gli occhi di fronte alle difficoltà ma sapere che queste possono essere affrontate; occorre sempre ricordare che anche una situazione complessa e negativa può essere temporanea.

Fatta questa premessa generale, valida per affrontare tutti i tipi di difficoltà che coinvolgono la relazione tra genitori e figli andiamo a vedere gli aspetti più specifici relativi alla scuola.

Adolescenti e problemi scolastici: le risposte delle psicologhe

La scuola è un’agenzia di socializzazione fondamentale, un luogo nel quale si possono sviluppare contemporaneamente aspetti cognitivi, emotivi e relazionali.

Possiamo senz’altro dire che un ragazzo che resta al di fuori del ciclo di scolarizzazione obbligatoria, oggi, può essere definito un cittadino dimezzato, che gode dei diritti civili ma avrà probabilmente una situazione precaria dal punto di vista sociale e lavorativo.

A scuola i ragazzi possono incontrare modelli adulti differenti dai loro genitori, e soprattutto confrontarsi con i coetanei in un contesto protetto. Dall’appartenenza scolastica deriva il ruolo sociale attribuito a chi attraversa l’adolescenza: il ruolo di studente, aspetto costituivo fondamentale in questa età. Molto spesso se si chiede ai ragazzi di definirsi, diranno di sé che sono degli studenti, definizione valida per tutte le età e per entrambi i generi.

La scuola è vista dai ragazzi come un mezzo utile per arrivare all’inserimento lavorativo e per l’emancipazione personale, ma è anche considerata uno dei percorsi più difficili da affrontare.

Uno degli aspetti che maggiormente influiscono sul clima psicologico della classe è la natura della relazione tra insegnanti e studenti. Gli insegnanti, come detto sopra, sono dei modelli adulti differenti da quelli genitoriali, proprio per questo molto utili per allargare le alternative di scelta con cui identificarsi. È molto importante il fatto che gli insegnanti non siano legati in modo affettivamente intenso ai ragazzi come i loro genitori, per questo sono in grado di fornire modelli sociali psicologicamente meno invischianti e più utili per la costruzione della propria identità in adolescenza. Un altro aspetto molto importante è legato al fatto che è proprio a scuola che i ragazzi mettono in atto le prime trasgressioni verso le regole istituzionali: assenze all’insaputa dei genitori, fumare in bagno, non fare i compiti ecc, e grazie a questo imparano anche a conoscere e subire le sanzioni legate alla violazione delle prime regole sociali.

Essendo un contesto nel quale si sviluppano processi e si costruiscono relazioni, spesso diventa il luogo nel quale i ragazzi manifestano il loro disagio.

Il disagio scolastico è un fenomeno legato alla scuola, come luogo di insorgenza, ma che non può prescindere da variabili personali e sociali, come le caratteristiche psicologiche, il contesto familiare e culturale in senso più ampio. Si esprime in una varietà di situazioni problematiche che possono causare insuccesso scolastico e disaffezione alla scuola.

Visto il suo carattere composito e multifattoriale appare necessaria una lettura sistemica, che vada oltre la definizione, univoca e statica del disagio e si incentri sui significati che questo può assumere. L’essere umano è fondamentalmente relazionale, continuamente coinvolto nella relazione con altri esseri umani, sempre impegnato ad attivare processi adattivi di integrazione delle dimensioni intrapsichiche ed interpersonali. Il tipo e la qualità delle relazioni influenzano il funzionamento della persona stessa. Appare dunque chiaro come una situazione di disagio scolastico non sia da trattare come problema dell’alunno ma come una condizione di difficoltà di tutti i componenti del sistema di cui il ragazzo è parte.

I ragazzi si trovano a muoversi tra due importanti punti di riferimento ed è fondamentale che tra questi ci sia un dialogo.

Se scuola e famiglia collaborano il ragazzo si sentirà contenuto e, anche se mette in atto modalità di contestazione, avrà la certezza che c’è qualcuno che si preoccupa per lui e che ci tiene al suo futuro. Se non c’è collaborazione tra le figure adulte, che in questa fase sono le più importanti, è molto probabile che di fronte ad una difficoltà sia facile per il ragazzo deresponsabilizzarsi e attribuire la causa dei problemi alla scuola, soprattutto agli insegnanti.

I ragazzi non lo fanno con malignità, è un naturale processo umano (dal quale non siamo esenti nemmeno noi adulti) che fa sì che, quando si percepisce che tra due persone o sistemi organizzativi c’è una difficoltà, si crea lo spazio nel quale infilarsi e stare, ottenendo l’obiettivo non esplicitamente perseguito di estremizzare le difficoltà iniziali. È lo stesso fenomeno che si presenta quando c’è un conflitto forte tra i due genitori e si creano in famiglia alleanze e coalizioni tra un figlio e un genitore contro l’altro genitore.

La soluzione al problema posto da Manu non è dunque semplice e lineare ma comprende diversi livelli d’azione.

È certamente corretto il porsi in una posizione di ascolto e rispetto dei figli, cercare di comprendere cosa stanno vivendo e se ci sono delle difficoltà per le quali c’è bisogno anche del supporto di un adulto. Manu stessa ha sperimentato che il polso troppo duro non serve. È corretto anche il non focalizzarsi solo sulla scuola perché per i ragazzi è fondamentale sentirsi presi in considerazione dai propri genitori nella propria totalità e non “solo in quanto studenti”.

È dunque fondamentale vedere e riconoscere ciò che di positivo ha un figlio e dimostrare di avere fiducia in lui.

Un altro aspetto importante è provare a costruire un dialogo con gli insegnanti, perché probabilmente, anche se in modo involontario, a loro arriva il messaggio di squalifica che i genitori sentono nei loro confronti. Questa modalità porta ad un irrigidimento delle proprie posizioni e ad una chiusura da entrambe le parti e a farne le spese sono sempre i ragazzi.

Rispetto alla domanda specifica di cosa fare per la scelta della scuola superiore  ci sembra importante che la  ragazza abbia espresso il suo desiderio e la sua posizione. Un desiderio che, tra l’altro, non è quello di scegliere la strada più comoda, e che contiene in sé la volontà di affrontare le proprie temporanee difficoltà.

Ci viene in mente che si potrebbe approfittare di questo momento importante per proporre agli insegnanti di inserire un progetto di orientamento per i ragazzi, con un professionista che li aiuti a capire qual è la scelta più adeguata a loro sulla base di elementi concreti come i valori, le attitudini, gli interessi, la motivazione ecc. Una proposta di questo tipo, magari concordata con gli altri genitori, agisce su due livelli: la possibilità di costruire una sinergia con gli insegnanti e la volontà di aiutare i propri figli a fare scelte consapevoli per il proprio futuro.

Se la scuola non avesse questa possibilità si può pensare di farlo fare ai propri figli anche individualmente, non si tratta di una psicoterapia, ma di un lavoro di sostegno e orientamento che può tranquillamente essere svolto in pochi incontri e che può aiutare, da un lato il ragazzo a chiarirsi le idee e capire davvero cosa vuole fare e, dall’altro, anche i genitori a fidarsi con più serenità delle scelte dei propri figli.

Melania Cabras e Maria Grazia Rubanu

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Studio di psicologia Psynerghia

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